Una batteria che accumula energia elettrica 
per mezzo di materiali organici biodegradabili

Fare scouting di nuove tecnologie per l’energia nell’area di Boston…

Pubblicato sul n. 13 di MAIN News.

 

A gennaio scorso viene pubblicato un interessante articolo sulla prestigiosa rivista Nature che parla di un sistema di accumulo di energia elettrica che trae la sua ispirazione da quanto fanno gli esseri viventi.  Mi incuriosisco e invio un messaggio agli autori.  Il Prof. Michael J. Aziz,  della Harvard School of Engineering and Applied Sciences, mi risponde quasi istantaneamente e concordiamo che, alla prima occasione di visita a Boston, andrò a trovarlo.

Lo scorso Maggio mi presento al quarto piano del n. 9 di Oxford Street e il Prof. Aziz è accompagnato dal Prof. Roy G. Gordon che insegna Scienza dei Materiali, e dal Dr. Murray McCutcheon, responsabile del trasferimento tecnologico e del business development.  Ecco quello che mi dicono.

Q: Come viene immagazzinata l’energia dalla vostra batteria a flusso?

R: a differenza dalle batterie convenzionali come batterie ad elettrodi solidi, le batterie a flusso immagazzinano l’energia al di fuori del contenitore della batteria, all’interno di serbatoi chimici. L’energia è accumulata in maniera reversibile in forma ridotta e ossidata che circola da serbatoi esterni al serbatoio principale della batteria.  Nella batterie avvengono reazioni di riduzione e ossidazione da una parte e l’altra di una membrana convertendo l’energia elettrochimica in energia elettrica (o viceversa). In contrasto con le batterie a litio, le batterie a flusso hanno il grande vantaggio di poter aumentare la capacità di energia semplicemente aumentando la grandezza del serbatoio chimico.

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Il gruppo di ricerca di Harvard intorno alla loro “Organic mega flow battery”

Q: I materiali e le sostanze chimiche utilizzate nelle vostra batteria sono semplici da trovare?

R: La maggior parte delle batterie in commercio utilizzano elementi rari e preziosi come catalizzatori.  La nostra batteria si distingue per l’uso di materiali comuni e a basso costo, abbassando quindi in maniera drammatica il costo totale.  Abbiamo stimato che i nostri elettroliti costano meno del 10% del costo del vanadio o di altri elementi rari normalmente utilizzati e non hanno le difficoltà di reperimento.  Noi utilizziamo l’antrachinone per circa la metà del nostro sistema; è un materiale sconosciuto ai più ma in realtà è utilizzato come agente ossidante nelle industrie della carta, petrolchimiche e della pasta.  Come conseguenza, si può facilmente trovare in grandi volumi ed a basso costo.  Allo stesso modo, l’idrogeno bromuro è una sostanza chimica industriale comune ed ampiamente disponibile a basso costo.

Q: Questi materiali, sono pericolosi, nocivi o inquinanti? Possono essere riciclati senza problemi per l’ambiente?

R: Nell’ultimo anno abbiamo concentrato i nostri sforzi nello sviluppo di un materiale metal-free utilizzabile per la componente negativa della cella della batteria a flusso. Abbiamo studiato una classe di molecole, chiamate chinoni, che normalmente si trovano in piante ed animali e che possono subire rapide ossidazioni e riduzioni reversibili durante numerosi cicli senza degradarsi. Questa è una importante funzionalità che si vorrebbe da una batteria. Abbiamo modificato queste molecole in modo tale da aumentare la solubilità in acqua per poterla utilizzare nella batteria. Il materiale chiave che abbiamo usato non è tossico ed è simile a quello che costituisce il rabarbaro.  Molti, infatti chiamano la nostra invenzione come la batteria al rabarbaro.

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La batteria a flusso messa a punto dai ricercatori

Per la metà positiva della nostra batteria abbiamo utilizzato una nota architettura chimica basata sull’idrogeno bromuro.  Questo è un sistema chimico maturo adatto per una prima dimostrazione della nostra tecnologia ma richiede una manipolazione sicura e non deve essere disperso nell’ambiente. Uno dei nostri principali obiettivi per i prossimi tre anni di progetto, finanziato  dal Dipartimento dell’Energia USA (ARPA-E) è di sviluppare un elettrolita a base di chinoni per sostituire il bromuro di idrogeno e che di conseguenza genererà una batteria a flusso poco costosa e non tossica.

Q: Quanta potenza può essere accumulata dalla batteria? Avete immaginato la scalabilità del prodotto?

R: l’architettura della batteria a flusso è di per sé scalabile; le singole celle elementari di una batteria di flusso possono essere accoppiate insieme per produrre alta potenza. Un sistema pilota in grado di erogare un megawatt di potenza per cinque ore (capacità energetica totale di 5 MWh) è stato dimostrato da Sumitomo Electric in Giappone, e sono in costruzione sistemi dieci volte più grandi. La nostra invenzione può essere scalata nello stesso modo e crediamo che i vantaggi di costo-prestazioni della nostra chimica fornirà un vantaggio dirompente.

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Michael J. Aziz, Gene and Tracy Sykes Professor of Materials and Energy Technologies, Harvard School of Engineering and Applied Sciences

Q: Questa batteria potrebbe servire in luoghi come case ma anche ospedali, alberghi e centri commerciali. Quale è la dimensione ideali che vi immaginate per queste batterie? Quali sono i pro e i contro di grandi batterie a confronto a batterie e di piccola taglia?

R: Il target più convincente delle nostre batterie è tra una media dimensione (100 kW) e una grande (1 MW o maggiore), quindi una scala per una struttura commerciale o industriale fino alle sottostazioni elettriche per le wind-farm o i campi fotovol-taici.

La potenza della batteria può es-sere aumentata semplicemente aumentando la dimensione dei serbatoi chimici, senza modificare le dimensioni del sistema di erogazione di potenza.

Ci sono molte applicazioni interessanti per le batterie a flusso di grandi dimensioni.  Per fare un esempio, il più importante ostacolo tecnico all’ampia diffusione dell’energia eolica e solare è la loro intermittenza.  Se siamo in grado di produrre batterie su larga scala di grandi dimensioni che riescono ad immagazzinare grandi quantità di energia in modo sicuro e conveniente, potremmo risolvere questo problema rendendo l’energia eolica e solare facilmente utilizzabile quando se ne ha necessità.

Q: Quanto siete vicini ad un prodotto industrializzato? State collaborando con aziende che vi stanno aiutando a raggiungere il vostro obiettivo?

R: Abbiamo riportato i risultati della ricerca sulla rivista Nature nel mese di gennaio, e stiamo intrattenendo rapporti con potenziali partner come parte della nostra roadmap per giungere ad un prodotto industrializzato.

Poiché le batterie a flusso sono in continuo sviluppo dagli anni ’70, ci sono aziende con importanti conoscenze nella progettazione e nell’ingegneria dei sistemi.  Abbiamo intenzione di sfruttare questa esperienza per creare valore intorno alla nostra innovazione.

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Una foto ricordo al termine dell’incontro. Da sinistra: Murray McCutcheon, io, Roy G. Gordon, Michael J. Aziz.

Q: Immagino che avete  avuto molti interessi da parte di industrie chimiche e produttori di energia. Come pensate di trasferire questa tecnologia nel mercato?

R: C’è stato uno straor-dinario livello di interes-se da parte di potenziali partner da quando abbiamo pubblicato il nostro lavoro.  Dal nostro punto di vista questa è una dimostrazione della grande potenzialità della nostra invenzione ed è una convincente opportunità di mercato per il settore dell’accumulo di energia. Per trasferire efficacemente la tecnologia al sistema industriale e al mercato, ci rendiamo conto che non possiamo fare tutto il lavoro da soli. E’ importante coinvolgere gli enti e le Aziende in tutta la catena del valore, dalle aziende chimiche a integratori di sistemi e fornitori di servizi energetici.  Il nostro piano è quello di assemblare la giusta rete di partner in grado di accelerare lo sviluppo e l’adozione di batterie a flusso basate su chinoni.  Al tempo stesso, stiamo continuando a perseguire la ricerca svolta nel nostro laboratorio che confluirà nei sistemi di prossima generazione.